portatelo
a maiasienu
fatilo
parrari
portatilu
a maiasienu
l'hamu
a scannari
'zu
Totò, come dice vossia, quello che dice vossia per noi è comandamento.
Oggi
si travagghia, è una giornata di marzo troppo bella, don Piddu Panno ha già
portato gli uomini in campagna, ora scende dalla traversa. Sta guidando.
Le
cose per ora gli girano bene, le cose gli stanno girando per il verso giusto.
'U curliunisi si sta allargando assai, con il suo permesso vengono fatte
raffinerie di troca ovunque, pigghiano la cosa grezza e con l'acito la fanno
diventare a cristalli, poi la macinano, eroina pure al 97%. Sono piccioli assai, non si babbia. Ma
a don Piddu la troca non ci piace. Sempre lo dice, nel mio territorio troca
niente, ammazzatine sì, per tutti quelli che ci scassanu i cugghiuna, ma troca
mai, sino a che sono vivo io. E
la raffineria invece ce la misero sotto il cuscino dove dorme.
Ammazzamulu
'u curliunisi, subito, riunione.
A
Casteldaccia una sera che è scuro si vedono macchine che mai si erano viste, i
paesani conoscono targa e matricola di ogni macchina in circolazione. Queste
non sono di qua. E sono importanti. Pure blindate. Si capisce.
A
Casteldaccia c'è riunione.
C'è
Stefanuccio.
C'è
Totò.
C'è
Mimmo.
C'è
'u catanisi. Nitto Santapaola.
Tutti
d'accordo sono, tutti d'accordo sembrano.
Buonanottata
a tutti, quello che va fatto sarà fatto.
In
questa bella giornata di marzo che è giorno undici, don Piddu Panno scende
dalla traversa di Casteldaccia e gli alberi di limoni sono rigogliosi, belle
pampine verde: questa è annata buona.
Buona
per lui e buona per tutto il paese: per coltivare i giardini ci vogliono
piante, il sole, la mia acqua.
Don
Piddu Panno scende e pensa che tutto qui è sotto il suo controllo, un
mandamento pacifico e virtuoso, rapporti buoni con tutti, figliocci che
mostrano tanta devozione. Devotissimi.
Certo
qualche scassamento di minchia non manca. Si chiama Nino ' u merdaiolo, ma ora
lo chiamano prosecuto – latitante -, per me, pensa don Piddu, merdaiolo nacque
e merdaiolo resta.
Nino
'u merdaiolo ha ammazzato un carabiniere, Orazio Costantino, cose di estorsioni
che Costantino decise che i soldi glieli portava lui, Nino lo vide e Nino ci
sparò. E muriu Costantino. E lui fu condannato all'ergastolo.
Don
Piddu le estorsioni non gli piacciono, ma questo non riesce a levarselo dai
coglioni.
Vive
tra le montagne, sotto la protezione dei bagheresi: favori in cambio di
protezione, così funziona.
Qualcuno,
per fare capire chi è, lo chiama “killer dei bagheresi”.
Meglio
prosecutu.
Quando
non c'è lavoro da fare lui gira montagne montagne, a Rannino. E di sera qualche
volta rientra a casa, da sua moglie, per dormire tranquillo. Al mattino sveglia
presto e si mette la tonaca. Pare un monaco vero, nessuno lo riconosce.
Nino
è furbo.
C'è
vento per ora in provincia di Palermo, prima l'aria tirava dalla città verso
fuori, ora no, il vento tira da Corleone, si sente, si capisce – c'è puzza di
stalla e di tumazzu.
In
città tanti hanno capito che l'aria di Corleone è la migliore, quella che
assicura la sopravvivenza. Tanti hanno cambiato religione. Basta accollarsi
qualche sacrificio per dimostrare di essere sinceri. Basta ammazzare il capo.
Due
dei figliocci di don Piddu Panno di meteorologia se ne intendono, soprattutto
di rosa dei venti.
Uno
è Cesare Peppuccio Manzella. L'altro
è Pietro Martorana 'u malufigghiu.
Uno
lavorava alla Fiat, l'altro fa sbancamenti, ha i camion.
Tutt'è
due devono fare la consegna ai bagheresi di questo che vorrebbe attentare allo
zio Totò.
Queste
cose non si fanno.
Così
ha detto lo zio Totò quando ha saputo del complotto.
Lo
zio Totò ha informato i bagheresi, sono amici cari, carissimi, hanno fatto la
scelta giusta.
Organizzano
tutto loro.
Marzo
del 1981, giorno undici, bella mattinata che don Piddu Panno guarda la
campagna e se ne pria, bell'annata.
Le
cose girano. Girano per il verso giusto.
Sta
scendendo dalla traversa.
Due
per strada lo fermano.
Don
Piddu li conosce.
Talè
cu c'è, e voi qua che ci fate.
Sono
Cesare Peppuccio Manzella e Pietro Martorana.
I
me figghiuozzi, pensa don Piddu, mi posso fidare.
Zzù
Piddu, ci faccia entrare.
A
bello cuore, dice don Piddu Panno mentre gli apre gli sportelli del suo
furgone.
Don
Piddu sorride.
Poi
vede altri due che si infilano nel furgone.
Che
ci fanno questi due insieme a Peppuccio e a Pietro?
Questi
due che si infilano sono Nino Parisi e suo fratello Giusto.
Belli
spicchi. Gli spicchi fradici dell'arancia toccata dalla mosca che cade per
terra prima di arrivare a maturazione.
Don
Piddu capisce tutto. Non sorride più.
Qualcuno lo
ha tradito.
Stefano,
Totò, Mimmo, Nitto.
Sicuramente
'u catanisi.
Lo
fanno togliere dal posto guida, lo fanno sedere dietro.
Don
Piddu capisce, questi ora mi portano a Bagheria, alla fabbrica del ferro, mi
faranno sedere su una sedia, attaccato. E mi interrogheranno.
Mi
daranno timpulate a sfasciarmi la faccia.
E
poi mi metteranno la corda al collo.
Così
si fa, don Piddu queste cose le conosce bene.
E
poi mi squaglieranno nell'acido. Bastano cinquanta litri,un fusto, e macari un
fuoco sotto, che l'acido riscaldato fa il suo lavoro prima. Restano solo le
piombature dei denti.
Queste
cose don Piddu le conosce, le sa benissimo.
Don
Piddu prende la decisione più grande di tutta la sua vita.
Mai
don Piddu si era trovato davanti a circostanze di questo tipo. Decidere della
vita degli altri è facile, basta dire sì o basta dire no.
Basta
aprire la bocca e dare la risposta.
Tante
volte don Piddu ha detto sì, ammazzamulu, questo è una chiattidda attaccata ai
cugghiuna.
Don
Piddu decide che alla fabbrica del ferro deve arrivare morto.
I
morti non li attaccano alle sedie.
Ai
morti timpulate non se ne danno.
I
morti non c'è bisogno di strangolarli.
Don
Piddu si agita e fa come un pazzo.
Lo
devono tenere fermo, l'obiettivo è consegnarlo vivo, ma don Piddu non è cosa che puoi calmare, don
Piddu sa che si deve agitare, assai, come una tempesta, come il diluvio
universale.
Alla
ICRE le domande rimasero senza risposta, senza soddisfazione.
Giorgio D'Amato