domenica 14 giugno 2015

Buttanissima



Buttana, anzi, buttanissima, ma troia no, questo non me lo possono dire.

E se un giorno fanno la santa delle buttane, quella devo essere io; e se poi gli fanno la processione, tipo Santa Rosalia, allora sul carro ci devono mettere a me al posto della Santuzza: io davanti e tutta Palermo dietro, a benedirmi le cosce.



Io sono diventata buttana per forza di cose: la mia vita cambiò il giorno che mio marito andò a un appuntamento con gli amici per fare un festino, carne di crasto, salsiccia e una cassa di birra. Cose tra uomini. Così gli avevano detto. Mio marito trovò una bella pistola che lo aspettava, con il colpo in canna. Un colpo gli diedero, e poi un altro e un altro ancora. In tutto sei. Fece la stessa fine del crasto che si voleva mangiare.

Io quella notte non potevo dormire, lo sapevo che mi doveva arrivare questa notizia, mio marito aveva fatto troppo rumore con la Mercedes che si era comprata, troppo lusso.

Me ne andai al funerale che non potevo stare in piedi.


Tutti mi dicevano come stai? ti senti bene? parla, sfogati, fatti una chianciuta che ti senti meglio. Muta totale, era come se non stavano parlando con me.

Ai funerali non manca mai nessuno: parenti, parrini, amici, conoscenti, nemici, sbirri e spioni; mi vennero a dare mille vasate, alcune di affetto, alcune di circostanza, molte di giuda ma una me la diede una santa - le migliori anime del Purgatorio fanno così, non fanno capire niente e si pentono di nascosto, loro si sgravano e tu vieni a sapere la verità. Mentre mi stava baciando una me lo disse all’orecchio, uno della banda di Don Tano ‘u malaminchiata fu.

Apriti cielo. A Palermo nel mandamento di Porta Nuova quando pronunci questo nome, intanto lo devi dire sottovoce, mezzo masticato. Anzi, è meglio se non lo dici. ‘U malaminchiata è quello che comanda tutte cose, senza di lui non si muove una foglia, non si appende un chiodo. Ci sono le elezioni e devi votare? Prima ti devi informare quali sono i suoi consigli. Dio ce ne scansi di Don Tano ‘u malaminchiata che a cinque anni già aveva scannato un capretto con le sue mani.

Ma Don Tano la doveva pagare.

Lui o chi per lui.

Piangevo io e dovevano piangere pure le femmine della sua famiglia, madri, mogli, figlie, sorelle. Tutte. Dovevano piangere come e quanto me.

Mi feci bionda ed entrai nel giro, parevo una prostituta di quelle drogate e si sa che le prostitute drogate sono più a buon mercato, non hanno niente da perdere, si fanno fare tutte cose, come se il corpo non è cosa sua. L’importante è che alla fine gli danno la roba. Dopo tre sere di appostamento dietro la stazione già il primo spacciatore di Don Tano l’avevo di sopra che si sfogava. Intanto che lui cafuddava io facevo finta di godere, così lui era più soddisfatto. Quando l’avevo di sopra gli facevo quattro giochi di fantasia, neanche se ne accorgeva che rispondeva alle mie domande, lanzava che era un piacere. Tutte cose mi ha detto.

Mi disse che Don Tano ‘u malaminchiata aveva quattro picciotti che spacciavano per lui, uno per ogni zona della stazione e della Magione. Sotto Don Tano c’era il suo luogotenente, uno che le stigghiole se le mangiava crude per trovarci più sapore.

Lo spacciatore con cui avevo a che fare non aveva ammazzato a nessuno. Ma il luogotenente sì. Quattro e quattro fanno otto. Io a lui dovevo arrivare.

Venni a sapere che se la faceva nelle taverne, una in particolare, a Ballarò. Nel retrobottega. Io ci andai in quella taverna e domandai dov’era il cesso. Con la scusa mi infilai e lo vidi. Lo vidi e lo guardai negli occhi e sopra la bottoniera dei pantaloni. Lui mi guardò. Io lo guardai ancora, gli feci salire il sangue. Tempo cinque minuti eravamo nel gabinetto. Tempo dieci minuti mi stava dando la dose che gli avevo chiesto.

Mi domandò com’è che mi chiamavo. Gli dissi Ilary, come quella della televisione. Bello nome di pulla, mi rispose. Dimmi il tuo vero nome, mi domandò.

Non ha importanza, gli risposi.

La sera dopo ero di nuovo alla taverna. Sono diventata la sua amante e le serate le passavo con lui nel retrobottega. C’erano un letto e un tavolo. E pure la televisione. Poi, verso mezzanotte, lui mi diceva che me ne dovevo andare, e io me ne andavo.

Non voleva fare sapere a nessuno dov’è che stava di casa. Io però l’avevo capito. Doveva essere qualche posto collegato con la taverna. Di là dentro non usciva mai, perché quella era una zona protetta, neanche la polizia c’entrava. Se la polizia proprio ci voleva andare, prima doveva avvisare, così i titolari davano una spolverata. Lo chiamavano Pietro ‘u tana. Perché non usciva mai. Come un succi. E come un succi doveva fare la fine dei succi.

Io ci provavo a dirgli Pietro, mi porti al ristorante? Lui non mi rispondeva. Però certe volte Pietro usciva, io lo so, perché a me mi diceva di andarmene prima. Poi sul Giornale di Sicilia il giorno dopo, in prima pagina, c’era qualche bella notizia con la foto di un morto ammazzato.

Una sera che mi disse preparati, vattene a casa, decisi che era ora.

É presto, stiamo un altro poco. Lui non voleva ma io mi misi a fare come la gatta in calore, lui non voleva, che non se la sentiva. A mio piacimento l’ho costretto a fare l’amore.

Poi me ne sono andata. L’ho aspettato, due strade dopo l’uscita della taverna. Passò davanti a me. Quando mi vide capì tutto.

L’indomani sul Giornale di Sicilia ci fu la sua fotografia. L’anima di mio marito ora può riposare in pace.


L’eterno riposo dona loro Signore e splenda ad essi la luce perpetua e riposino in pace. E così sia.

 Giorgio D'Amato

Gabriele D'Acquisto

17 commenti:

  1. E' raro che un incipit sia così forte da essere imparato a memoria, bisogna che ci siano determinate caratteristiche, secondo me:

    1) nella sua brevità deve essere un crescendo
    2) deve riassumere quello che viene dopo senza però "anticipare" nulla
    3) deve avere delle parole forti, fortissime

    Questo racconto le soddisfa tutte!
    Qui la parola più forte, come potrebbe sembrare ovvio, dovrebbe essere "Buttana" o "Buttanissima", e invece no, secondo me è il finale: benedirmi le cosce.
    "Benedirmi le cosce", perchè? Forse perchè la protagonista è una che si è messa contro la mafia, contro i delitti di quartiere? E' una che risponde ai soprusi e per questo meritevole di benedizione, no?
    E questo fu uno dei racconti che mi fece piacere la scrittura e la lettura.
    Bravo assai!

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    1. vero è, benedirmi le cosce è veramente blasfemo..
      eggrazie a FO per il commentone, oggi autostima a mille
      gd

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  2. Buttana per dovere " per forza di cose", bel modo di vedere le cose. Coraggio letterario per scrivere così. Bravo bravo.
    Nina

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    1. la scrittura è un'urgenza, per forza di cose....pomodori pelati?
      gd

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  3. Bello, insieme a molti altri farà un bellissimo libro di racconti (una spanna sopra de l'estate che sparavano :)

    però giorgio, mi devi dire di chi si tratta questa buttanissima!

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    1. eggrazie Nino!
      l'idea mi venne da un fatto di cronaca, una che le ammazzarono il marito e idda si travestì da prostituta per uccidere l'assassino; successe a palermo, una decina di anni fa.. non ricordo altri dettagli, memorizzai lo scheletro della notizia
      gd

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  4. Bravo Giorgio ! Hai descritto benissimo la Forza delle donne e quello che riescono a sopportare.

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  5. "...uno che le stigghiole se le mangiava crude per trovarci più sapore.", proprio non si può sentire: è forte persino per me che non sono vegana!
    Pezzo potente e assolutamente in linea col Vecchio Testamento: " Occhio per occhio e dente per dente!"
    Non so se il fine giustifica i mezzi ma certamente alla signora i mezzi sono interessati poco, l'importante per lei è stato centrare l' obiettivo e mi sembra che ci sia riuscita in pieno: a conferma di ciò un'articolo sul giornale di Sicilia!
    Grande GD.
    L.I.

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    1. La complessità della mente femminile sta in questa frase:
      Lui non voleva ma io mi misi a fare come la gatta in calore, lui non voleva, che non se la sentiva. A mio piacimento l’ho costretto a fare l’amore.
      Probabilmente copulare con chi hai deciso di uccidere ha una dose di sadismo notevole, un piacere razionale superiore a quello fisico.
      gd

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    2. Te l'ho mai detto che tu non sei normale?
      Penso anche che in una vita precedente tu sia stato "Fimmina" (con la F maiuscola): la tua mente troppo contorta è!
      Sempre con ammirazione parlando, si capisce.
      L.I.

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    3. azz, mi hai spiazzato - e convengo...
      GD

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  6. Molto bello. Toccante ed immediato come una fotografia in bianco e nero.

    Alberto Giannantoni

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