mercoledì 25 giugno 2014

Mafia e pallone. Omicidio di Andrés Escobar: ucciso per un autogol

"Per favore, cerchiamo di essere rispettosi… Un abbraccio forte a tutti, è stata un’esperienza fenomenale, strana, che non avevo mai sentito in vita mia. A presto, perché la vita non finisce qui”, Andrés Escobar, El Tiempo (editoriale scritto il 29 giugno e pubblicato il 3 luglio 1994, un giorno dopo la sua morte)

L'autogol di Escobar nella partita contro gli USA



Los Angeles (Pasadena), Rose Bowl stadium, 22 giugno 1994. Si gioca Colombia – USA davanti a più di novantatremila spettatori sugli spalti. In palio c'è l'accesso agli ottavi di finale dei Mondiali. E' il 35' del primo tempo: il centrocampista statunitense John Harkes, si libera sulla fascia sinistra e improvvisa un cross basso nel cuore dell’area colombiana. La difesa dei "Los Cafeteros (soprannome dei calciatori colombiani) – letteralmente chi fa o beve il caffé" è leggermente sbilanciata, il pallone arriva al centro dell'area dove il difensore Andrés Escobar, impaurito dal possibile arrivo di un attaccante statunitense alle sue spalle, entra in scivolata e, sfortunatamente, devia il pallone nella propria porta, per il più clamoroso e sfortunato degli autogol. 1-0 per gli USA. Lo stadio esplode di gioia, la Colombia intera ammutolisce. Escobar rimane a lungo steso a terra, impietrito. In quel momento una partita di calcio si trasforma in un dramma. Il primo a capirlo è un bimbo, Felipe, il figlio della sorella di Escobar, che dalle gradinate dello stadio dove l'Italia perderà in finale col Brasile, confida alla mamma: "Mami, a Andrés lo ammazzeranno". "Il calcio non è come la Corrida. Qui nessuno muore", fu la risposta esaustiva di mamma Maria Ester. La partita finirà con la vittoria degli statunitensi per due a uno. Ad evitare alla Colombia l'eliminazione dai Mondiali non servirà il risultato della terza e ultima partita poi vinta contro la Svizzera.

mercoledì 18 giugno 2014

Rituzza

A Rita, di Adele Musso

Mi sono fermata ad un passo dal volo.
Non ce l'ho fatta, ci vuole più coraggio a vivere o a morire?
Resto per un instante lungo quanto i miei diciassette anni, a guardare attraverso questo spazio ristretto.
Una strada, i passanti di una città che non conosco. La mia città mi conosceva forse?

mercoledì 4 giugno 2014

Morte di Andrea Cottone

Con quel fango ci dovevamo vedere a mezzogiorno. Gli avevo detto a mezzogiorno - all'American Bar a quell'ora ci sono solo vecchietti. Potevamo persino parlare delle questioni nostre, eppure non si è presentato. Io sono un tipo puntuale e credevo che lo fosse anche lui. Guardo l'orologio, sono le dodici e trentacinque e decido di chiamarlo. E' raro che Andrea porti il cellulare con se, ma io provo lo stesso. Il cellulare l'ha tenuto spento. Magari, nel prendere i suoi figli a scuola ha trovato traffico.
Sono incazzato, siamo amici da una vita e mai una volta in orario. Se non si presenta vado io a cercarlo.